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giovedì 30 maggio 2013

GIOVANI! RIPRENDETEVI IL FUTURO

GIOVANI! RIPRENDETEVI IL FUTURO I grandi sociologi sembrano concordare sul fatto che siamo ormai all’agonia della nostra cultura e del nostro modello organizzativo. I moderni profeti della catastrofe scelgono come esempi raccapriccianti ma convincenti gli stili di vita della gioventù moderna, le sue mode, la sua evidente e patetica incapacità di affrontare il futuro. Noi adulti (genitori, educatori, operatori sociali, politici) siamo convinti che viviamo in una società nella quale i legami si siano attenuati oltre la tolleranza. Può darsi, anche io ne ero e ne sono convinto, ma pare anche che non diamo alcun peso all’evidenza contraria e cioè che i legami familiari, amicali, di gruppo, culturali e corporativi hanno raggiunto una appiccicosità pericolosa. I vincoli più prossimi hanno sovrastato e cancellato il vincolo con la Patria, la Chiesa, la Società, il Bene comune. È più facile e più comune che le persone si sentano legate al dialetto piuttosto che all’italiano; si difende il proprio territorio contro qualsiasi bene comune ( non si può fare un buco che subito sorge il comitato “anti buco” anche se servirebbe al bene comune). Forse hanno ragione loro ma non si può non notare che questo è l’esito di una società caratterizzata da legami stretti. È la tenace vischiosità del vincolo col padre e con la madre, il principale fattore di rischio per i giovani d’oggi. I giovani sono sequestrati per più di trenta anni in un legame che posticipa la possibilità di fare famiglia e figli. E questo è frutto di una squallida operazione di marketing che vuole indurre i giovani alla rassegnazione: che sono condannati ad essere la prima generazione destinata a vivere la fine del mondo. Tutto questo perché noi e le generazioni precedenti abbiamo scaricato sulle loro spalle il peso di un debito pubblico immane che costringe a ridurre la spesa per i servizi, la scuola, la sanità. Descriviamo come impensabile che loro – i giovani – possano vivere del medesimo benessere goduto dalle generazioni precedenti. Contro i giovani c’è una campagna pubblicitaria che li invita a rassegnarsi, alla prospettiva di costi di affitti inaccessibili, contratti di lavoro solo precari, zero pensioni. Meno natura, tutto sarà inquinato, scompariranno i boschi e le foreste, i ghiacciai si sciolgono e l’acqua del mare sommergerà le nostre città. Gli uomini non domineranno più, saranno le macchine e diventeremo loro schiavi. Nuovi virus letali si stanno sviluppando in laboratorio. Questi scenari apocalittici vengono da tempo proposti ai nostri giovani. Ed è vero che siamo colpevoli di aver manipolato ed alterato la Natura e i suoi equilibri, e ne subiamo le conseguenze … Ma i giovani delle statistiche non sono “tutti” i giovani, più di qualcuno pensa – e vive di conseguenza – che non accadrà una catastrofe simile e sta elaborando una cultura alternativa a quella dello spreco e della corruzione. Anche se non ci crediamo avviene. (Prosegue) Questi scenari catastrofici, economici, politici, sociali, assistenziali e ambientali vogliono trasmettere un messaggio rivolto ai giovani per avvertirli che il futuro è morto, non c’è più, non si facciano illusioni, la pacchia è finita, come il petrolio e l’acqua. La divulgazione di queste ipotesi scientifiche (?) che documentano la verità di questi apocalittici scenari non ha mai una finalità educativa, ma è spesso punitiva e moralistica. Manca, infatti, l’indicazione alla soluzione. Se lo scenario del futuro è questo, è indispensabile informare correttamente queste generazioni dei rischi e con loro definire e inventare un nuovo modo di vivere nel mondo, costruendo una civiltà, generata dalla cogestione con tutti i popoli, compatibile e tenendo sotto controllo la tecnologia che pensi ai diritti dei figli, dei nipoti e pronipoti. È quasi del tutto assente il tentativo di reclutare in questa guerra gli ideali dei giovani, quasi che non ne avessero, la loro capacità di sperare, la loro voglia di cambiare. È assente il bisogno di riparare l’affronto di consegnare (noi giovani di 50 anni) a loro un pianeta e una società ridotte ad un simile stato. Ci manca la volontà di educare e formare i nuovi terrestri a non violentare l’ambiente (fisico e morale) che gli permette la vita. don Antonello Tumminello

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