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giovedì 22 marzo 2012

domenica 18 marzo 2012

PERCHE’ TIRARE FUORI LA TESTA DAL SACCO!

La società plurale nella quale i cattolici sono oggi chiamati a vivere implica la necessità di un confronto a 360° con tutti i soggetti in campo, teso ad individuare i beni comuni sia spirituali che materiali e le politiche adeguate a promuoverli, i cattolici non devono rassegnarsi all’irrilevanza come cattolici. Al contrario, proprio perché la rappresentanza cattolica non è più garantita da un unico partito, – e io dico fortunatamente – ai fedeli laici è richiesto di concorrere al bene comune rendendo così pubblicamente ragione della fecondità sociale della propria fede: “ pronti a rendere ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). E questo ha delle conseguenze decisive per i contenuti e il metodo dell’impegno politico. In pratica, operando in partiti diversi, i laici cattolici dovranno praticare il principio del distinguere nell’unito. Non dovranno perdere, nell’elaborazione e nell’attuazione dei programmi, il senso comune di appartenenza ecclesiale e mostrare la necessità dell’unità nelle questioni non negoziabili. Per il cristiano questo impegno civile, soprattutto quello politico, altro non è che il prolungamento, fatte le debite distinzioni, della logica della testimonianza intesa come lavoro pratico per il bene comune. Se si testimoniano in ogni ambito dell’esistenza, compreso quello sociale e politico, le proprie convinzioni, non si lede il diritto di nessuno. Scopo dell’azione politica, soprattutto per il cristiano, non è realizzare la società perfetta, che sarebbe una mostruosa presunzione, ma contribuire con realismo alla ricerca di un compromesso civile. (Angelo Scola, Buone ragioni per la vita in comune, Milano 2010. “Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo: limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra pragmatismo da meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco del’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura, che tende a realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”. (Ratzinger J., Chiesa, ecumenismo e politica, San Paolo, 1987, 144). “Il fedele laico è chiamato a individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale.” Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 568. “Le istanze della fede cristiana difficilmente sono rintracciabili in un'unica collocazione politica: pretendere che un partito o uno schieramento politico corrispondano completamente alle esigenze della fede e della vita cristiana ingenera pericolosi equivoci.” Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 573.

SE DIO E’ BUONO, PERCHE’ IL MALE? PERCHE’ AUSCHWITZ?

Questa è lo stralcio di una risposta ad una lettera di un mio studente che, tra le altre cose, addebita alla presenza del male il suo ateismo: “ … è meglio non credere in Dio, perché altrimenti si dovrebbe pure ammettere che egli è un sadico e odia l’umanità.” Innanzitutto mi meraviglio che tu partecipi alle mie lezioni di religione pur dichiarandoti ateo convinto. Forse in te vi è dell’altro, almeno la domanda se non esista poi qualcosa che sia Dio. Vorrei dirti che anche per me la domanda circa il dolore nel mondo, circa la terribile infelicità che – causata dall’uomo o dalla natura – regna in questa terra è sempre problematica. Si è detto: “dopo Auschwitz non sarà più possibile credere in Dio”, non ritengo vera questa affermazione ma credo che sia seria di fronte alla disperazione. Ma se si è atei è per caso più facile superare questa disperazione? O non si rende invece definitivo il male? Se ci si sente solidali con quanti sono morti nelle camere a gas, nei gulag sovietici, nelle stragi in Vietnam, in Cambogia, nei disastri naturali anche recenti, non è forse doveroso, anche se con fatica, ammettere che esiste realmente un Dio di amore in cui tutte queste sofferenze trovino pienezza di significato? Se Dio è Dio è infinitamente più grande del male della terra, è certamente inconcepibile per noi questa coesistenza con Dio ma non vi è contraddizione, perché nella sua pienezza di vita, di amore e di significato dà soluzione e significato al male del mondo. Per l’ateo il male non ha senso, è invincibile. Non è più vero che c’è stato e c’è tutto questo male proprio perché chi lo compie vive come se Dio non esistesse? Chi crede che esiste un Dio santo, giusto, amoroso, potente, è in grado di comprendere questo problema del dolore, certo non lo risolve. L’ateo che fa? È costretto ad accontentarsi dell’assurdità di questo mondo. Anche tu, come gli atei telegenici, dipingi il cristianesimo come un analgesico buono per gli sfortunati. Ma tu hai qualcosa di migliore da offrire loro? Tu puoi dire, con una vena di disprezzo, che chi crede si consola con la speranza del paradiso perché è incapace di venirne fuori con le proprie forze. Tu sei giovane, stai bene, hai tutto, non soffri! Ma coloro che il dolore lo vivono devono abbandonarsi alla disperazione oppure credere in Dio come soluzione al loro problema? Tu interpreti le tue esperienze negative come argomenti contro Dio, ma delle tue esperienze di felicità, di realizzazione, di pienezza, non ne hai mai fatto argomento a favore della sua esistenza. Il male è la prova contro Dio, il bene – che c’è dentro e fuori di te – una cosa scontata e ovvia. Un po’ di luce è immensamente superiore alle tenebre, anche se sembrano immense.
Questa mia risposta non è esauriente (forse un po’ aggressiva, ma mi conosci ..!) ad un problema immenso, ma credo e spero che col dialogo lo approfondiremo.

LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE

LIBERTA’ E’ PARTECIPAZIONE
“La libertà non è star sopra un albero e neanche il volo di un moscone(?), la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.” Così cantava Giorgio Gaber negli anni ’70. Anni in cui si partecipava a tante cose: si manifestava un giorno si e l’altro pure; si partecipava ad assemblee scolastiche, sindacali, politiche; si doveva poter dire “io c’ero!” Allora come oggi si viveva con l’insicurezza del futuro: l’inflazione era alle stelle, la disoccupazione pure. Soprattutto la mia generazione pensava di poter cambiare il mondo. il mondo è cambiato, se in meglio o in peggio lo lascio dire ad ognuno, ma siamo cambiati anche noi. Partecipare ha sicuramente cambiato me, se in meglio o in peggio io lo so ma non ve lo dico. C’è un assunto che non bisogna mai perdere di vista: “l’uomo si plasma, si costruisce, con le proprie azioni, con i fatti che deliberatamente pone in essere”. Fossimo fatti di puro spirito ci plasmerebbero le idee, ma siamo anche di carne e ciò che fa la carne plasma la carne stessa e lo spirito (pensate all’attività fisica!), e ciò che fa lo spirito plasma lo spirito e la carne (pensate ad una bella musica!). Partecipare, direbbe Gaber, è esercitare e godere della propria libertà, che tanto invochiamo a piè sospinto e che tanto poco esercitiamo. Partecipare attivamente alla vita politica e sociale della città, della propria regione, e della nazione, è esercitare la propria libertà, occorre pretenderlo! Dove noi non siamo altri decideranno per noi – e magari contro di noi -. Partecipare alle manifestazioni, ai convegni, alle fiaccolate per la liberazione degli ostaggi, alla via crucis, all’attività della parrocchia, dell’associazione di cui siamo soci, non aggiunge niente all’ente che la promuove ma educa la nostra vita: partecipare a cose buone educa alla vita buona; partecipare a cose cattive educa alla vita cattiva. Fare, partecipare, educa alla convivenza, all’accoglienza dell’altro anche se sconosciuto. Partecipare scaccia via la paura che abbiamo dell’estraneo diverso da noi, cementa l’appartenenza ad una comunità, ad un gruppo, ad un sodalizio, ad una famiglia, ad una Chiesa. Stare a casa davanti alla TV o allo schermo di un computer cementa l’appartenenza agli elettrodomestici. Partecipate gente, partecipate, e sarete più liberi e più giusti.